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Immagine del redattoreSara Mini

Perchè una psicologa vi parla di kintsugi?

Perchè una psicologa vi parla di kintsugi?


Marzo 2023, durante un viaggio in Giappone,  decisi di approfondire la mia conoscenza di questa antica arte attraverso un corso di kintsugi tradizionale, a Kanazawa, non a caso la città dell’oro. Quello che penso sia una relazione di cura sta proprio in questa metafora. Quando qualcosa si rompe, fa male; i cocci ci mostrano senza filtri tutta la fragilità dell’oggetto. Cosa possiamo fare? Secondo questa antica arte, possiamo prendere i cocci e rimetterli insieme, dare vita ad un nuovo oggetto, adesso ancora più prezioso. Badate bene, è difficile quando le ferite sono le nostre e la ceramica lascia il palcoscenico alla nostra anima ma non impossibile. Ma procediamo per gradi..


Come nasce il kintsugi?


C’era una volta, in un tempo molto lontano, l’ottavo shogun  della famiglia Ashikaga, Ashikaga Yoshimasa. Un giorno dopo aver rotto la propria tazza da tè preferita, decise di inviarla in Cina per farla aggiustare. Fino a quel momento ogni riparazione prevedeva l’utilizzo di legature metalliche poco estetiche e per niente funzionali. Ashikagawa Yoshimasa non si arrese. Egli desiderava che la sua tazza tornasse a vivere in tutto il suo splendore; decise così di incaricare alcuni artigiani giapponesi. Quello che accadde fu proprio l’inizio dell’antica tecnica giapponese del kintsugi. Gli artigiani si misero all’opera e

trasformarono la tazza in un gioiello, unendo ogni pezzetto con cura e pazienza e riempiendo le crepe con lacca e polvere d’oro.


Cosa è il kintsugi?


Il kintsugi è un’antica tecnica di restauro della ceramica. Quando un oggetto si rompe non viene  buttato via. Ogni coccio viene raccolto con cura e riassemblato insieme agli altri, attraverso questa antica tecnica nipponica.


Quali sono gli step del kintsugi?


Nel kintsugi sono necessari diversi mesi di lavoro ed ogni step è fondamentale per raggiungere il risultato finale.


  • I cocci (puliti con cura) vengono riuniti e incollati con una sostanza ben precisa, la lacca urushi. Essa è una resina (urticante e velenosa) estratta dalla pianta Rhus verniciflua, molto costosa perchè ogni pianta può produrre solo 200 grammi di resina. La linfa viene raccolta e poi filtrata più volte attraverso un telo di canapa in modo da far evaporare l’acqua dalla lacca grezza e ottenendo così il primo urushi chiaro e in seguito vengono aggiunti dei pigmenti.

  • Il secondo passaggio della lavorazione è la stuccatura. L’urushi viene mischiata alla polvere di argilla, tonoko e poi applicata sull’oggetto desiderato (processo che viene ripetuto diverse volte). Affinchè la lacca polimerizzi al meglio è necessario che, nei vari passaggi, l’oggetto venga fatto riposare in un ambiente umido. Ricordo ancora il piccolo armadio di legno che la nostra insegnante aveva costruito personalmente, per accertarsi che fornisse le condizioni migliori per l’asciugatura (almeno a 22° e minimo il 75% di umidità).

  • Nel terzo passaggio, prima che l’urushi asciughi completamente, si dipingono le crepe con un pennello finissimo, facendo cadere la polvere d’oro sulla lacca ancora leggermente umida con la tecnica a spolvero.

  • Resta un ultimo passaggio. Come ultimo step si procede a togliere l’eccedenza di oro con un batuffolo di cotone di seta, chiamato wata.


Cosa c’entra il Kintsugi con la psicologia?


Il kintsugi si presta ad una metafora molto più profonda come quella di abbracciare il danno e non vergognarsi delle proprie ferite. In quel marzo 2023, a contatto con la tradizione nipponica, mentre cercavo di rimettere insieme i cocci di una piccola tazzina da caffè, ho capito!


Non stavo semplicemente incollando pezzetti di una tazzina, stavo accogliendo la fragilità di un piccolo oggetto,  prendendomene cura. La tazzina che stavo riparando non doveva tornare ad essere semplicemente bella esteticamente,  doveva funzionare di nuovo come tazzina! Significa che in quella tazzina avrei potuto versare del caffè caldo senza che per questo si rompesse di nuovo o perdesse del liquido. Significa che le crepe lasciano spazio a punti di forza. Significa che quella tazzina funziona di nuovo! Quella tazzina però oggi è diversa, e quella diversità la rende oggi più forte oltre che unica! Ogni step richiedeva cura, attenzione, attesa. Non è quello che accade proprio nella relazione di cura?


Come applicare dunque i principi del kintsugi alla psicologia?

Lavorando insieme sull’ accettazione delle fragilità e imparando ad accoglierle come parte integrante di sé. Il dolore, prima ancora di essere elaborato, ha bisogno di essere visto (osservare i cocci), accolto (incollarli insieme) e abbracciato (cospargere le crepe con l’oro). Possiamo imparare  insieme a “stare nelle emozioni”, in modo da farle diventare un’opportunità di crescita personale per sviluppare forza e resilienza. Le nostre cicatrici, anche quelle più profonde e dolorose, possono diventare trame preziose. Queste fitte trame tessono una tela unica e preziosa che rende ogni persona diversa da un’altra. Siamo tutt* unic*. Ognuno di noi è attraversato dalle proprie cicatrici, dai propri fiumi d’oro.




“Non piangere, Sokei” disse Chojiro.
“Ma è la mia vita. Come posso non piangere?” Rispose l’allievo.
“Fai bene a dedicare tutta la una vita e la tua passione alla tua opera, però la ceramica è bella e fragile, proprio come la vita. La ceramica e la vita possono rompersi in mille pezzi, ma non per questo dobbiamo smettere di vivere intensamente, di lavorare con impegno o di riporre nella nostra esistenza le nostre speranze. Quello che dobbiamo fare non è evitare di vivere, ma imparare a ricomporci dopo le avversità. Raccogli i cocci, Sokei, è arrivato il momento di aggiustare le tue illusioni.  Ciò che è rotto può essere ricomposto e, quando lo farai, non cercare di nascondere la sua appartenete fragilità giacchè si è trasformata ora in una forza manifesta.
… Vai a prendere l’oro che custodisco nella cassetta dell’ultimo scaffale.” (Kintsukuroi)

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